FRATTURE
Sette immagini minimaliste, che rappresentano un paesaggio brullo, arido, senza vita.
Ogni fotografia strappata a metà lascia il solco bianco della carta non stampata nel mezzo. Ne risultano due immagini, non esattamente simmetriche, con due color molto diverse. L’una sui toni più naturali, virante al marrone, più coerente con il reale, l’altra con cenni più o meno estesi di viola, che appare surreale, inesistente. L’una richiama il presente, l’altra un tempo che non è più, o che non è ancora stato. L’una, forse, più ancorata alla realtà esterna nella sua crudezza, l’altra rivolta a rappresentare un ipotetico paesaggio interiore, ugualmente brullo, arido e senza prospettiva.
Scorre una vena amara, dolorosa in queste immagini, una speranza spenta, ma anche una rabbia sopita, che non urla più.
L’autrice dichiara che il lavoro nasce da una profonda riflessione sul mondo interno, che non è mai uguale a se stesso. Anche se è doloroso non trattenere ciò che già conosciamo, lasciar andare è l’unico modo per conoscere ciò che ci attende: per la nostra crescita interiore è inevitabile il cambiamento.
Non c’è cura che mantiene inalterato il paesaggio interiore, non c’è salvezza, se non quella, dolceamara, di accettare il cambiamento stesso e ciò che esso inevitabilmente comporta, senza opporsi al fluire delle cose. A cosa serve tenacemente non mollare, se non a portare i muscoli all’estremo dello sforzo? Inesorabilmente, la fine si avvicina, e non c’è nulla di costante, se non il cambiamento.
Motivazione del giudice Gabriella Gandino